24 anni (quasi) dopo gli italiani tornano alle urne per decidere se volere o meno il nucleare nel nostro Paese.
Non solo. Come allora siamo chiamati a pronunciarci su altri quesiti (a Milano non avremo schede ma delle meravigliose lenzuola).
Su iniziativa del Partito Radicale, l'8 novembre del 1987, andarono a votare quasi 30 milioni di persone, il 65% del popolare elettorale di allora.
Vinse il SI' con una media dell'80% sui cinque quesiti, risultato che permise l'introduzione della responsabilità civile per i giudici (la magistratura si pronunciò per il sì e lo sponsorizzò - questo il documento firmato allora e in archivio nel sito dei Radicali), l'eliminazione della commissione inquirente in Parlamento e l'allontanamento dal nucleare in tutte le sue forme, dalla localizzazione delle centrali, passando per i contributi agli enti che le avrebbero costruite, fino al divieto all'Enel di partecipare al nucleare all'estero.
24 anni fa, tra quei quasi 30 milioni, c'era sicuramente qualcuno della nostra famiglia. Mamma o papà (perfino entrambi), uno zio, una nonna, il cugino più grande.
Loro si espressero non solo per il presente, ma anche per il futuro, spazio temporale dove ci avevano inquadrato.
Ecco. Noi dobbiamo ragionare allo stesso modo. E' per questo che è indispensabile andare a votare. Perchè domani e dopodomani decideremo il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno dopo di noi.
Di quello che fa la politica ce ne dobbiamo battere il cazzo.
E' vero. E' palese la strumentalizzazione che potrà fare la politica di qualsiasi risultato che uscirà dalle urne. Ma a noi non deve importare. Perchè noi stiamo esercitando quella sovranità che ci appartiene per Costituzione. A noi non ci deve sentire X o Y. Ci devono sentire tutti.
In Parlamento devono capire che l'Italia sta cambiando, che ci vogliamo riappropriare della politica che ci hanno rapito negli ultimi venti anni (e che ci siamo lasciati rapire, diciamocela tutta).
Che è finito il tempo della corruzione, della logica che tutto si può fare perchè tanto all'italiano basta avere la macchina nuova che del resto poco gli importa. Il luogo comune secondo il quale all'italiano non importa della politica deve morire una volta per tutte, perchè su questo stereotipo sinistra, destra e centro hanno decostruito il nostro Paese in un solo ventennio, a colpi di fanta politica becera, fatta di falsa moderazione e indignazione farlocca.
Siamo indietro come Nazione, come Paese, come Stato. I problemi che avevamo venti anni fa sono gli stessi che abbiamo adesso, con l'aggravante che nel resto del mondo sono andati avanti (chi più chi meno).
Le donne e i giovani hanno ancora difficoltà ad andare a lavorare. E siamo una democrazia occidentale del terzo millennio. L'Italia, madre della Costituzione più bella del mondo, l'hanno trasformata nel circo che tutti conosciamo, fatta di veline e pubblicità, gratta e vinci e reality.
E' ora di dire basta. Basta. Noi non siamo come vorrebbero loro.
Noi rivogliamo quello che è nostro. La politica. Noi decidiamo e loro fanno. Non il contrario.
Riprendiamoci tutto. Tutto.
A partire dal referendum, che è per questo che è davvero importante. Per dimostrare a Berlusconi, a Bersani, a Di Pietro, a tutti, che noi non siamo in coma perchè ci siamo risvegliati e li rimettiamo sotto il nostro controllo. Le loro guerre se le facciano a casa loro.
Abbiamo le palle piene dei loro problemi, delle loro schermaglie, delle loro pagliacciate.
Delle loro promesse fatte solo per garantirsi pensioni d'oro.
Che trionfi il sì o che trionfi il no (brrrrr), il segnale dev'essere quello di un Paese che rinasce a colpi di vera democrazia, esprimendosi decidendo quello che deve fare il Parlamento.
Chiudo con la classica polemica/frecciatina.
Qualcuno invita ad astenersi per un solo motivo: evitare il quorum sul legittimo impedimento. E' palese.
Questo qualcuno non conosce la democrazia. E' proprio quel qualcuno che vorrebbe insegnarci che può fare quello che vuole, che è lui che decide.
Col cazzo.
Rimbalziamo l'invito e l'idea che l'ha partotito usando la matita.
E in tasca un bel vaffanculo.
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