Il tour di Bob Dylan in Cina ha scatenato polemiche, soprattutto negli Stati Uniti, dove dalle colonne del New York Times la columnist Maureen Dowd accusa il cantautore di essersi piegato alla censura cinese che ha privato le scalette dei suoi concerti di pezzi come "The times they are a-changing", "Blowin' in the wind" e "Knockin' on heaven's door".
Al momento dell'accordo tra Bob e il suo entourage e gli organizzatori cinesi io non c'ero (stavo preparando un esame, giuro ci sarò la prossima volta).
Se Bob ha detto sì nonostante l'epurazione dal suo repertorio dei brani che lo hanno consacrato come voce della rivoluzione degli anni 60 e 70 saranno affari suoi.
Ciò che mi deprime non è la sua scelta, che credo ragionevole.
Che Bob canti o non canti i brani di maggior consistenza riflessiva, poco importa. La sua fama e quella delle sue canzoni vanno oltre ogni sporco ostacolo che un qualsivoglia regime del cazzo gli imponga.
Anzi.
Paradossalmente la censura comporta maggior visibilità a ciò che vorrebbe nascondere. Grazie a internet molti fan asiatici di Dylan, perfino quelli che proprio non lo conoscono, spinti dalla curiosità si informeranno su quello che è successo. E lo verranno a sapere.
Mi azzardo a dire che la Cina ha segnato, un'altra volta, un piccolo autogol. Strategie come la censura, la repressione, l'occultamento di informazioni non fanno che allargare l'occhio di bue sul palcoscenico mediatico che la Cina cerca di nascondere per conservare il Grande Fratello di cui la popolazione, perlomeno la buona parte, sente sempre più inopportuno e superfluo. Lo sanno tutti: parlare all'orecchio del vicino a tavola attira maggiore attenzione.
Non dico che Bob Dylan abbia ragionato in questi termini. Ma accusarlo di essere un venduto mi sembra esagerato. Ha invece, indirettamente, riaperto la ferita democratica di un paese in cui i diritti umani vengono decisi a tavolino da un governo che "nel nome del popolo" (e qui mi sorgono molte domande) lo manovra come fosse un burattino.
Mi deprime la situazione in Cina.
Un paese in cui spero "qualcuno cambierà i tempi", qualcuno "trovi la risposta nel vento".
Senza bombe, senza incidenti diplomatici del cazzo. Un inizio potrebbe essere il dialogo tra padroni cinesi e il resto del mondo durante una riunione all'ONU, chessò.
Ma ho come l'impressione che durante uno scenario del genere, qualcuno parli all'orecchio della Cina di operazioni commerciali e finanziarie. E quando lo fanno tutti è difficile notarsi e additarsi.
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